L’Azienda Sanitaria Locale Roma H ha pubblicato un documento riguardante il tema del lavoro atipico, mettendo in relazione i dati relativi agli incidenti di lavoro e ai rischi psicosociali correlati alla precarietà. Il testo, sebbene non sia recente (è precedente all’entrata in vigore del Decreto legislativo 81/2008) riesce a fotografare bene la situazione di questa massa, in crescita costante, di lavoratori “flessibili”.
In “ Sorveglianza sanitaria e prevenzione nel lavoro atipico flessibile” – a cura di A. Bruschi, G. Di Martino, A. Imperatore, A. Messineo, O. Rossi e N. Serretti – vengono date alcune utili definizioni.
La “flessibilità” è considerato come il “grado di adattabilità o adeguamento del sistema o dei suoi elementi al manifestarsi di mutamenti o al sorgere di determinati vincoli”.
Ma cosa ha contribuito allo sviluppo di una elevata quota di flessibilità nel lavoro?
Ad esempio:
- mutamenti nell’economia e nel mercato (volatilità dei mercati, l’esigenza di nuove produzioni nei luoghi di minor costo, terziarizzazione);
- l’accresciuta importanza di fattori socio-culturali (ricerca di maggiori spazi per le esigenze di well being, riduzione del pendolarismo);
- fattori di tipo organizzativo nell’impresa (la necessità di accedere a mutamenti produttivi rapidi, convenienza di nuove tipologie come il telelavoro);
- fattori legislativi (recepimento di indicazioni europee con normative sulla flessibilità).
Senza dimenticare – fra gli altri fattori indicati nel documento – la “necessità di mutamenti dell’ orario di lavoro o della produzione per riconversioni di impianti”, le esigenze dei consumatori (miglioramento del mercato in termini di costi, efficienza , rapidità , …) o la “necessità di decongestionare aree urbane e superare vincoli di traffico, trasporto e di allocazione delle imprese”.
Dunque si assiste ad una crescente affermazione di lavori atipici caratterizzati da “flessibilità delle prestazioni in termini diversi: durata, organizzazione, tipologia dell’occupazione, modalità di svolgimento, normativa, sede di svolgimento del lavoro”.
E con la diffusione crescente di informatizzazione e nuove tecnologie, la globalizzazione ed accessibilità a nuovi mercati, la concorrenza nazionale ed internazionale, i crescenti, la polverizzazione ed aumento delle microimprese, gli appalti e le esternalizzazioni si arriva ad una domanda di lavoro atipico in tutta Europa in costante aumento.
In questa situazione il documento – che ricordiamo è precedente al D.Lgs. 81/2008 e al suo ampliamento del campo delle tutele – pone alcuni punti critici, ad esempio relativi:
- alla “reale applicabilità di alcune misure di tutela quali: formazione (inadeguatezza dei tempi ai fini dell’apprendimento, scarsa integrazione con i processi tecnici ed organizzativi aziendali, scarsa assimilazione procedure…), emergenze (acquisizione di modelli comportamentali adeguati, resistenze alle procedure…)”;
- alla vigilanza sulla applicazione delle misure;
- all’emarginazione del lavoratore “rispetto al processo ed all’organizzazione del lavoro (discriminazione, demotivazione, consapevolezza del ruolo…)”.
La situazione dei lavoratori atipici/flessibili è caratterizzata da un estrema variabilità del contesto in cui si opera e spesso da:
- discontinuità d’impiego;
- utilizzazione ambienti fisicamente non determinati;
- contesti organizzativi mutevoli;
- esposizioni frammentate e multiesposizioni;
- difficoltà bonifiche strutturali;
- problemi di formazione (inadeguatezza dei tempi ai fini dell’apprendimento, scarsa integrazione con i processi tecnici ed organizzativi aziendali, scarsa assimilazione procedure…);
- non infrequenti conflittualità orizzontali.
Uno dei problemi sollevati dagli autori del documento è che in Italia la flessibilità “sembra sia stata interpretata come possibilità per l’imprenditore di modificare in qualsiasi momento le condizioni del rapporto di lavoro (e quindi anche le modalità di cessazione del rapporto di lavoro) con il proprio dipendente e non come strumento in grado di rendere flessibile l’organizzazione stessa del lavoro”.
Insomma “una volta precari, oggi più finemente definiti atipici, questi lavoratori presentano una situazione di assoluta precarietà nella tutela per malattia, per quanto riguarda ferie, tutele sindacali, retribuzione, tutti fattori sinergici con la scarsa sicurezza e salute sul lavoro”.
Da questa ricerca emerge ad esempio che la “scarsa tutela contrattuale e sindacale è avvertita come un problema dal 40% dei lavoratori” e che è diffuso un forte grado di insoddisfazione.
Alle sensazioni di malessere concorrono elementi collegati al futuro pensionistico.
Ad esempio “tra le donne il 71,5% ritiene che , al termine della propria esperienza lavorativa , la propria pensione sarà inesistente (37,5%) o comunque insufficiente a garantire una vecchiaia dignitosa (34%). Il 34,5 % vorrebbe garantirsi una pensione integrativa ma non lo può fare, perché non ne ha i mezzi. E il pessimismo impera dal momento che il 52,2 % delle donne vede il proprio futuro economico mediocre o pessimo”. E non sono pochi coloro “che avvertono una instabilità di equilibrio (17,6% ) o si sentono in uno stato di ansia (21,3%)”.
Dopo aver riportati altri dati relativi a un’indagine IRES, il documento si occupa anche del rischio infortuni per i lavoratori atipici.
Infatti “l’inserimento solo temporaneo in una azienda può essere causa di un incremento degli infortuni sul lavoro rispetto a quanto avviene nei lavoratori a tempo indeterminato”, e questo avviene per alcuni elementi che generalmente caratterizzano i lavoratori atipici: scarsa conoscenza dell’ambiente, scarso addestramento, breve durata del lavoro, bassa qualifica professionale e giovane età.
Inoltre spesso il lavoratore atipico:
- svolge spesso lavori che lo mettono “in condizione di cambiare continuamente mansione e quindi di doversi riformare circa i rischi cui e’ esposto;
- alterna momenti di superlavoro a momenti di lavoro normale, a periodi di disoccupazione e ciò aumenta lo stress che e’ la causa principale di infortuni oggi in Europa”;
- “viene utilizzato per i lavori meno ‘graditi’ che vengono accettati proprio per lo stato di precarietà”.
Varie ricerche internazionali, nazionali e locali indicano percentuali di infortuni e malattie professionali “tuttora a livelli preoccupanti, con indici di rischio grave e continuo in alcuni settori (edilizia, trasporti, agricoltura)”. Si parla spesso di “soggetti ( immigrati, lavoratori precari, donne) con formazione inadeguata specie per situazioni di rischio particolare e la diminuzione delle tutele giuridiche e previdenziali attuate con ricorso a forme irregolari di prestazioni d’opera”.
Anche in questo caso il documento mostra molte tabelle, ad esempio in relazione alla distribuzione degli infortuni, ai disturbi lamentati dai lavoratori flessibili (molto diffusi i disturbi gastrointestinali, muscolari e relativi alle emicranie). Si parla anche dei problemi particolari nel distacco “che si realizza quando il datore di lavoro, per proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di un altro soggetto per la esecuzione di una determinata attività lavorativa”.
Il documento, oltre a indicare alcune proposte dirette a legislatori e organi di vigilanza per aumentare le tutele e trovare modelli e strumenti di controllo più efficaci, sollecita la comunità scientifica ad “approfondimenti sul profilo di rischio del lavoro atipico, sui metodi e strumenti di valutazione”. Ed anche “sulle procedure di applicazione delle misure preventive (ambientali, impiantistiche, organizzative, inf/formative, protezione individuale) ivi compreso il controllo sanitario dei lavoratori”.
In fondo non dobbiamo mai dimenticare che “la situazione lavorativa, sicura o precaria, è il primo fattore che influisce anche sulla vita sociale di una comunità”.
leggi l’argomento in versione originale alla pagina http://www.puntosicuro.it/it/ps/view/sorveglianza-sanitaria-prevenzione-nel-lavoro-atipico-flessibile-art-10257.php