Articolo dell’Avv. Maura Bridarolli

Cass. Sez. lav. N. 12347/2016

 

Art. 2087 – Tutela delle condizioni di lavoro L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.

Fatto:

La Corte di Appello di Perugia dichiarava la responsabilità esclusiva di TA dipendente di XXX e della società stessa nella causazione dell’infortunio occorso a MB dipendente della società YYY (Il sinistro avveniva all’interno di un cantiere presso lo stabilimento della società YYY). Accertava infatti che l’infortunio veniva provocato dal TA il quale, nel fuoriuscire in bicicletta da un cunicolo di ispezione del forno dello stabilimento industriale, investiva e travolgeva MB, che sopraggiungeva, anch’egli in bicicletta, nel sottopassaggio del viale centrale, causandogli gravi lesioni. La Corte escludeva la responsabilità della società datrice di lavoro dell’infortunato in quanto non risultava ingerita nella gestione del cantiere rilevando che alla stessa non poteva essere contestata alcuna violazione di norme cautelari, dal momento che in prossimità del cunicolo erano stati collocati appositi segnali volti a richiamare l’attenzione sulla necessità di procedere a passo d’uomo.

 

Cassazione:

MB proponeva ricorso avanti alla Suprema Corte.

La Corte, analizzando la questione, definisce gli obblighi del datore di lavoro volti alla tutela delle condizioni di lavoro:

«Va anzitutto ribadito che l’art. 2087 c.c. non configura una forma di responsabilità oggettiva a carico del datore di lavoro, non potendosi automaticamente desumere dal mero verificarsi del danno l’inadeguatezza delle misure di protezione adottate: la responsabilità datoriale va infatti collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle migliori conoscenze sperimentali o tecniche del momento al fine di prevenire infortuni sul lavoro e di assicurare la salubrità e, in senso lato, la sicurezza in correlazione all’ambiente in cui l’attività lavorativa viene prestata, onde in tanto può essere affermata in quanto la lesione del bene tutelato derivi causalmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto (cfr. tra le tante Cass. nn. 8381 del 2001, 3234 del 1999, 5035 del 1998).

Si tratta, in altri termini, di un’obbligazione assimilabile a quelle tradizionalmente definite “di mezzi”, in cui la diligenza, oltre a costituire il criterio per valutare l’esattezza dell’adempimento, esaurisce l’oggetto stesso dell’obbligazione, traducendosi nel dovere di conoscere quei saperi e di adottare quelle tecniche considerate più attendibili nell’ottica di perseguire il fine indicato dall’art. 2087 cit., e in cui il mancato conseguimento di tale fine rileva solo in quanto sussista un nesso di causalità (non solo in senso materiale, ma anche normativo) tra la condotta che detto obbligo di diligenza abbia violato e l’evento dannoso in concreto verificatosi. Vale a dire che l’art. 2087 c.c., nella misura in cui costruisce quale oggetto dell’obbligazione datoriale un facere consistente nell’adozione delle “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità dei prestatori di lavoro”, permette di imputare al datore di lavoro non qualsiasi evento lesivo della salute dei propri dipendenti, ma solo quello che concretizzi le astratte qualifiche di negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline, dovendo per contro escludersi la responsabilità datoriale ogni qualvolta la condotta sia stata diligente ovvero non sia stata negligente (imprudente, imperita, ecc.) in ordine allo specifico pericolo di cagionare proprio quell’evento concreto che in fatto si è cagionato, cioè quando la regola cautelare violata non aveva come scopo anche quello di prevenire quel particolare tipo di evento concreto che si è effettivamente verificato (o almeno un evento normativamente equivalente ad esso)».

La Suprema Corte ha rilevato come sia stato accertato in sede di istruttoria, che il cancello posto all’ingresso del cunicolo fosse stato aperto e che la detta apertura fosse legittima in quanto necessaria per l’espletamento dei lavori di manutenzione; inoltre, che la cartellonistica apposta (da parte di YYY) fosse esauriente al fine di ammonire quanti percorrevano il luogo dell’insidia. Con ciò anche la Suprema Corte ha ritenuto esente da responsabilità il datore di lavoro dell’infortunato.

In sostanza la Cassazione ha ribadito che l’art. 2087 cc non configura una forma di responsabilità oggettiva in capo al datore di lavoro. La responsabilità del datore va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge, e non si può desumere dal mero verificarsi del danno.

 

 

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