1. Lavoro subordinato

 

L’art. 2094 del codice civile definisce prestatore di lavoro subordinato chi “si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro, intellettuale o manuale, alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”. Nel codice civile dunque non esiste una definizione di subordinazione, bensì di prestatore di lavoro subordinato ex art. 2094 cc, denominazione dalla quale si evincono indirettamente gli elementi della subordinazione riferita ad un contesto in cui prevale il lavoro a tempo indeterminato e pieno in un’impresa medio-grande, secondo una logica fordista. Se da un lato si trascura la nozione di imprenditore dell’art. 2094 cc, dall’altro anche la differenza fra operaio/impiegato va sfumando, mentre si accentua il carattere della collaborazione che assume una nuova connotazione e si concretizza in disponibilità di energie e inserimento nell’organizzazione produttiva.

 

Il potere direttivo, organizzativo e gerarchico che caratterizza il lavoro subordinato, può essere esercitato anche al termine della prestazione lavorativa e non solo durante le sue fasi di esecuzione.

 

Il lavoro subordinato è caratterizzato dall’onerosità anche presunta, mentre agli effetti giuridici esso si distingue soprattutto per la finalità protettiva e garantista ed è caratterizzato da norme inderogabili. Nel caso di prestazioni lavorative rese tra conviventi o parenti, le prestazioni si presumono gratuite, ma tale presunzioni può essere vinta dalla dimostrazione dei requisiti della subordinazione e dell’onerosità, incombente sulla parte che sostiene l’esistenza del rapporto. La presunzione di gratuità sussiste anche nel caso di attività eseguita nell’ambito di un’impresa organizzata con criteri famigliari e non quando l’impresa pur avendo caratteri famigliari sia gestita con criteri imprenditoriali

 

Tra le principali conseguenze rilevano: un determinato trattamento fiscale e una speciale tutela previdenziale attraverso il sistema delle assicurazioni sociali, in primis inps ed Inail, nonché l’obbligo per il datore di effettuare il pagamento dei contributi previdenziali e dei premi assicurativi, sia per la propria parte che per quella a carico del lavoratore. Il datore ha quindi l’obbligo di registrare i lavoratori nel libro unico al fine di provare la regolarità del rapporto, provvedendo mensilmente al pagamento dei relativi contributi. Come noto il licenziamento del lavoratore può avvenire solo per giusta causa o giustificato motivo al fine di assicurare una certa stabilità nel rapporto.

 

La distinzione tra lavoro subordinato e lavoro autonomo, chiara ed evidente nelle astratte definizioni legislative, diventa spesso difficoltosa nelle cosiddette “zone grigie” del diritto del lavoro, ossia in quelle varie tipologie contrattuali offerte dalla prassi, in cui si riscontrano indizi sia dell’una che dell’altra. Spesso si tratta di figure contrattuali create artificiosamente allo scopo di dissimulare rapporti di lavoro subordinato e quindi di eludere la relativa disciplina (ferie, tredicesima mensilità, trattamento fine rapporto, contribuzione previdenziale).

 

 

2. Lavoro autonomo

 

Il lavoro subordinato o locatio operarum differisce dal rapporto di lavoro autonomo o locatio operis, trattato nel diritto commerciale. Nel lavoro autonomo infatti il requisito della subordinazione è assente e vi rientrano anche le collaborazioni ed il lavoro a progetto. Nel lavoro autonomo conta prevalentemente il risultato (cd obbligazione di risultato) mentre nel subordinato (cd obbligazione di mezzi) rilevano le energie spese. Ciò che è importante oggi sono soprattutto le modalità attuative con cui viene eseguita l’attività dedotta in contratto, piuttosto che il risultato immediato. Nel subordinato l’attività, a differenza dell’autonomo, non può essere delegata a terzi ed è continuativa. Qualsiasi attività può essere oggetto dell’uno o dell’altro rapporto, si pensi all’attività di un ingegnere o di un agente che rimane uguale a se stessa anche se il rapporto di lavoro cambia. Nella pratica può risultare assai complesso riconoscere il vincolo della subordinazione che può assumere sfumature diverse, come ad esempio nel lavoro giornalistico.

 

Nell’autonomo è assente il potere direttivo, così come nella collaborazione coordinata continuativa dove non si può parlare di dipendenza rispetto al committente.

 

Le forme di lavoro autonomo più diffuse si estrinsecano nel contratto d’opera (es studi professionali), nel contratto di appalto (es imprese di pulizia) e nell’associazione in partecipazione, mentre la collaborazione coordinata e continuativa attiene alla parasubordinazione.

 

E’ possibile per un lavoratore la coesistenza di un rapporto autonomo ed uno subordinato con lo stesso datore purché le prestazioni non siano uguali o strumentali, nel caso invece di attività miste il rapporto deve essere inquadrato secondo l’attività prevalente

 

E’ possibile trasformare un rapporto di lavoro subordinato in autonomo anche tacitamente purché la trasformazione si davvero effettiva e non fittizia come purtroppo accade nella realtà quotidiana.

 

 

3. Indici rilevatori

 

La subordinazione si identifica soprattutto nell’eterodirezione o subordinazione tecnico funzionale ex art. 2094 cc in ossequio alle direttive del datore ex art. 2086 cc. L’eterodirezione comporta il coordinamento spaziale e temporale della prestazione, il lavoratore quindi è autonomo dal punto di vista tecnico-esecutivo, ma non dal punto di vista economico-organizzativo.

 

Il criterio di qualificazione della inferiorità economica è oggi in declino anche se nella prassi è in voga soprattutto nelle forme di sfruttamento legate alla parasubordinazione.

 

Particolarmente determinante è stato il contributo fornito dalla giurisprudenza, la quale ha elaborato un articolato sistema di criteri, i c.d. indici della subordinazione, il cui ordine è sostanzialmente gerarchico:

  1. indici essenziali: riguardano il vincolo della subordinazione, quali l’assoggettamento al datore di lavoro tramite il potere disciplinare, ovvero la presenza di direttive tecniche e poteri di controllo, nonché l’inserimento in via continuativa e sistematica nell’organizzazione aziendale, desumibile dall’assenza di un’organizzazione imprenditoriale in capo al lavoratore e dall’assoggettamento conseguente;
  2. indici residuali o sintomatici: riguardano l’orario di lavoro, l’oggetto della prestazione, il luogo della prestazione, l’esistenza o meno di un’organizzazione d’impresa da parte del lavoratore e nell’incidenza del rischio, l’esecuzione del lavoro con materiali ed attrezzature del datore, pagamento a scadenze periodiche, trattasi di elementi che possono avere soltanto la funzione di rafforzare i precedenti ma non di sostituirli.

 

In merito alla subordinazione rileva ricostruire la reale volontà delle parti al di là dell’abito formale attribuito dai contraenti, si tratta spesso di confini labili anche se la giurisprudenza di merito ha ormai individuato indici sussidiari di subordinazione, accanto all’assoggettamento gerarchico, più in generale, avremo, così come già sopra anticipato: sottoposizione al potere disciplinare, obbligo di orario, continuità e predeterminazione della prestazione, obbligo di disponibilità, fedeltà e non concorrenza del lavoratore, predefinizione del compenso, assenza del rischio per il lavoratore che impiega i mezzi del datore ed è inserito nella sua struttura, nonché attività di vigilanza e controllo del datore.

 

Irrilevante dunque la volontà cartolare attribuita dalle parti mentre ciò che rileva è invece l’effettivo comportamento delle parti anche successivo al contratto, infatti in caso di contratto fra volontà cartolare e volontà effettiva, prevale la seconda, con riferimento dunque al concreto atteggiarsi del rapporto di lavoro. Pertanto ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato o autonomo, il criterio del nome iuris adottato dalle parti non ha valore prevalente, dovendo la qualificazione medesima desumersi, oltre che dal dato formale, dalle concrete modalità della prestazione e di attuazione del rapporto. Ciò significa che nessuno di questi indici c.d. sussidiari o accessori è da solo idoneo a costituire una scriminante tra lavoro autonomo e subordinato, tali criteri devono dunque essere valutati nell’ambito di un apprezzamento complessivo del rapporto, avendo riguardo alle concrete modalità di esecuzione, alla volontà effettiva delle parti, anche se in assenza di indici caratteristici della subordinazione, non si può prescindere dalla qualificazione attribuita dalle parti.

 

 

4. Certificazione

 

Possono essere oggetti di certificazione sia i contratti di lavoro, sia le rinunce e transazioni ex art. 2113 cc, l’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative, la stipulazione di un contratto di appalto ex art. 1655 cc per distinguerlo dalla somministrazione di lavoro disciplinata dagli articoli 20 e ss del D.lgs 276/2003. La certificazione svolge la funzione di strumento volontario e fideifacente per le parti ed i terzi in ordine alla natura del rapporto ed ai suoi effetti.

 

Organi competenti sono le commissioni di certificazione istituite presso gli enti bilaterali, le DPL, Università e fondazioni, nonché le Province. L’istanza di certificazione deve essere corredata dall’originale del contratto sottoscritto dalle parti contenente i dati anagrafici e fiscali delle stesse che devono anche dichiarare che non vi sono altri procedimenti certificatori pendenti. In caso di diniego, una successiva istanza può essere proposta solo se vi sono presupposti o motivi diversi.

 

La commissione verifica la correttezza del contratto scelto dalle parti e dove si renda necessario propone eventuali integrazioni o modifiche, quindi convoca e ascolta personalmente i contraenti, quindi redige un atto di certificazione motivato che contiene esplicita menzione degli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali, in relazione ai quali le parti richiedono la certificazione.

 

Le clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti recepiscono le indicazioni contenute negli accordi interconfederali. Il Ministero del lavoro con circolare 48/2004 ha predisposto una bozza di regolamento interno della commissione e linee guida provvisorie per i relativi compiti di certificazione.

 

L’atto di certificazione è provvedimento amministrativo motivato con esplicita menzione degli effetti in relazione ai quali è stato richiesto; il provvedimento è deliberato a maggioranza dei membri della commissione di certificazione e gli effetti decorrono dalla sottoscrizione. Contro l’atto di certificazione è possibile, previo esperimento del tentativo di conciliazione, far ricorso presso le autorità competenti a seconda del motivo di ricorso stesso. In caso di accertamenti da parte dell’INPS se emerge una discrepanza tra stato di fatto con conseguenti addebiti contributivi e quanto certificato dalla commissione, l’ente previdenziale dovrà quantificare con verbale le somme dovute ed esperire il tentativo di conciliazione presso le commissioni che dovranno eventualmente trasmettere gli atti al contenzioso.

Dott.ssa Anna Rita Caruso 

 

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