Articolo del dott. Luciano Coccagna
La filtrazione su materiale granulare
Premessa
Lo scopo della filtrazione su materiale granulare è di rimuovere dall’acqua qualsiasi particella non disciolta in grado di assorbire o deviare la luce, così come di rimuovere particelle disciolte, previa insolubilizzazione con procedimenti per lo più chimici o chimico-fisici (ad esempio ossidazione, modifica del pH). Questi procedimenti avvengono mediante il passaggio dell’acqua attraverso uno o più strati di mezzi filtranti inerti. Sul significato di “inerte” si potrebbe aprire una specifica discussione: per semplicità di esposizione definisco “inerti” i minerali che, alla ripresa di un ciclo di filtrazione, non hanno mutato la loro intrinseca natura fisica, chimica e chimico-fisica.
Il particolato è rimosso dall’acqua tramite complessi meccanismi, tra i quali è rilevante quello di “cattura”, che implica la creazione di legami elettrochimici più o meno tenaci tra ciascun granulo e lo sporco trattenuto. Ciò, in genere, avviene previo trattamento con coagulanti, che hanno il compito di destabilizzare le cariche elettriche superficiali delle particelle sospese. La flocculazione, per inciso, è normalmente intesa come una fase successiva, che prevede l’interazione delle particelle coagulate tra di loro e con i granuli della massa filtrante.
In breve, è ormai ben dimostrato che il filtro granulare, anche al fine una corretta gestione, non può essere considerato come un setaccio fisico.
La filtrazione è un’operazione ciclica, nel senso che quando lo “sporco” comincia a sfuggire, oppure quando, nel filtro, se ne è accumulata una quantità tale da ridurre considerevolmente il passaggio dell’acqua (ovvero si ha un forte aumento della perdita di carico), è necessario intervenire con lavaggi in grado di ripristinare l’originale efficienza.
Il meccanismo di azione del (contro) lavaggio si basa principalmente su due elementi: la “forza di taglio” (“shear force”), causata dall’incremento della velocità dell’acqua che lambisce il granulo, e il contemporaneo “effetto valanga” (“avalanche effect”), causato dalla collisione tra granuli filtranti quando lo stesso aumento di velocità di passaggio dell’acqua provoca una espansione (sub-fluidificazione) del letto filtrante ed i granuli si muovono in modo disordinato. Nei filtri a lavaggio acqua/aria analogo meccanismo è provocato dall’aria in pressione.
Queste descrizioni, molto semplici e intuitive, nascondono una realtà assai più complessa, oggetto nel tempo di studi che hanno portato ad una evoluzione impiantistica notevole, con un considerevole incremento delle prestazioni di un medesimo filtro.
Il filtro e la sua gestione
Focalizziamo ora l’attenzione su tre argomenti fondamentali:
- la costruzione dei filtri. In particolar modo la scelta della tipologia di filtro (mono o multistrato) e di conseguenza la scelta e la disposizione dei mezzi filtranti e le modalità del lavaggio;
- la conduzione/gestione della piscina, preferibilmente in accordo con il fornitore degli impianti. Fondamentale, sotto quest’aspetto, è la gestione dei prodotti chimici.
- interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria secondo le necessità
Prima di affrontare i tre argomenti sopra elencati, conviene tuttavia chiarire alcuni punti fondamentali.
Per quanto riguarda la filtrazione dell’acqua di piscina, è importante sottolineare l’esistenza di una peculiarità che la differenzia rispetto alla filtrazione al fine della potabilità: l’acqua viene continuamente ricircolata ed il principale inquinante “umano” (azoto aminico) viene in genere rimosso per via chimica dalla stessa sostanza, cloro e derivati, usata per la disinfezione che, ahimè, provoca anche la formazione di sottoprodotti poco graditi.
Vi è inoltre necessità di chiarire cosa si intenda per filtro “lavato” e granulo “pulito”.
Un filtro è da ritenersi “lavato” quando sono ripristinate le funzionalità idrauliche originali (portata e perdita di carico) a seguito di ogni lavaggio. Questo non toglie che sulla superficie dei granuli si formi una patina di sporco che viene considerata in modo positivo, in quanto favorisce i meccanismi di cattura prima menzionati.
Ad esempio, quando per rimuovere Ferro e Manganese si usavano quasi esclusivamente filtri a sabbia, era ben nota ai gestori la necessità di effettuare una mezza dozzina di cicli prima di raggiungere l’efficienza desiderata, ossia fino ad ottenere un permanente sporcamento superficiale sul granulo – ininfluente dal punto di vista idraulico.
Che questo sporco fosse costituito, anche solo in parte, da biofilm è del tutto discutibile, data la costante normale presenza del disinfettante avente anche il ruolo di ossidante di Fe e Mn. E’, invece, indiscutibile che la finalità del lavaggio fosse unicamente la rimozione dell’eccesso di materiale trattenuto rispetto alla patina superficiale, che andava mantenuta per favorire la successiva fase di filtrazione
Si può affermare che, a causa di questo sporcamento, tutti i minerali filtranti inerti, da un punto di vista elettrochimico, si comportano in modo analogo,. Chimicamente, invece, possono mantenere alcune peculiarità sostanzialmente ininfluenti sul rendimento di filtrazione. Ad esempio, il Carbone antracitico ha un lieve effetto declorante in quanto “carbone”, pur se non attivato, e la Baritina, Solfato di Bario, subisce un lieve discioglimento pur se considerata “insolubile”.
Lo stesso principio è stato verificato anche in tutti i processi di filtrazione di acque naturali sotterranee e di superfice: lo strumento di controllo più efficace per verificare l’avvenuto lavaggio e per prevenire accumuli di sporco residuo è, appunto, quello della perdita di carico che deve tornare al valore iniziale.
In ogni caso, se il trattamento di filtrazione fosse progettato e finalizzato a creare un biofilm, cioè senza la presenza di disinfettanti nell’acqua ricircolata, si potrebbe ottenere la rimozione degli inquinanti aminici attraverso la formazione di un film biologico di nitrificazione. Questa pratica è ordinariamente utilizzata per la rimozione di composti ammoniacali nei trattamenti di potabilizzazione e qualcosa di simile è praticato anche nel ricircolo di acque di acquari piccoli e grandi. Si possono usare anche mezzi filtranti più specifici, come ad esempio zeolite per la sua proprietà adsorbente nei confronti di azoto amminico o carboni semi-attivati come strato superficiale per declorare.
Ciò non può accadere nei filtri di piscina pubblica, data appunto la costante presenza di disinfettante e di più o meno frequenti super-clorazioni.
Sempre a scopo preventivo, è importante che durante il servizio il filtro non raggiunga perdite di carico troppo elevate, che potrebbero portare alla formazione di una compatta “torta” (“cake”) superficiale talmente dura da non poter essere disgregata completamente ed espulsa durante il controlavaggio. In questo caso, infatti, il flusso dell’acqua, trovando un duro ostacolo in superficie, tende a “sfondarlo” con un forte aumento localizzato della velocità di flusso che, nei casi più gravi, può anche portare alla perdita di minerale filtrante. A seguito di questa rottura “violenta” possono, inoltre, permanere frammenti di sporco non espulsi che, per dimensione e densità, si comportano come il mezzo filtrante superficiale più leggero.
Cominciano, così, a formarsi le così dette “palle di fango” (“mud balls”) che, nel tempo, tendono ad aumentare di volume, in quanto ottimi centri di aggregazione per il nuovo sporco del ciclo successivo e quindi a penetrare sempre più in profondità nella massa filtrante. E’ corretto precisare, però, che mentre questa eventualità è abbastanza plausibile per i filtri usati in potabilizzazione, specie se con elevati carichi di materiale da rimuovere, è invece meno probabile per i filtri di piscina.
Anche in questo caso, è possibile effettuare un facile controllo: dopo ogni lavaggio, aperto il filtro e messa a nudo la superfice del letto, questa deve apparire liscia, senza avvallamenti, che sono il segno inequivocabile di vie preferenziali. Sono possibili lievi ondulazioni in corrispondenza degli ugelli del sistema di distribuzione se, appunto, realizzato con ugelli.
Altro segnale inequivocabile è un anomalo esponenziale incremento della perdita di carico durante il servizio.
A questo punto, possiamo riprendere gli argomenti principali prima elencati, con riferimento ad alcune peculiarità di attuale interesse.
Il disegno del filtro e la scelta dei mezzi filtranti
Pur avendo personali convincimenti e preferenze, non intendo discutere le diverse scelte tecnologiche proposte dalle aziende operanti nel settore. Salomonicamente, si può infatti affermare che tutti danno risultanti eccellenti, posto che siano gestiti in conformità alla peculiare tecnologia dettata dal fornitore (ad esempio scelta della velocità di filtrazione, tipo e dosaggio di prodotti coagulanti, modalità di lavaggio, ecc..). Le preferenze potranno essere di natura economica, simpatia, o basate su altri legittimi convincimenti.
Riguardo ai mezzi filtranti devono, però, essere rispettati alcuni principi generali, quali ad esempio:
- elevato coefficiente di uniformità per la sabbia (o equivalente mezzo) destinata ai filtri monostrato per prevenire, a seguito del controlavaggio, una naturale e continua disposizione dei granuli più grossi sul fondo e quelli più piccoli in superficie, creando così una sorta di filtro multistrato “rovesciato”.
- viceversa, nei filtri multistrato, i minerali vanno valutati per favorire un “inter mixing” degli strati adiacenti, per prevenire la formazione di nette separazioni tra le quali possono accumularsi strati di sporco. Si tratta cioè di costruire una granulometria intermedia artificiale che simuli una progressiva e continua diminuzione della granulometria della massa filtrante nella direzione del flusso di acqua.
- Per quanto riguarda la morfologia del granulo, è opportuno evitare granuli troppo “piatti”, che creano maggiori perdite di carico e riducono la porosità dello strato e preferire quelli, come la sabbia naturale, che abbiano una certa scabrosità superficiale
che favorisce l’efficacia del meccanismo di cattura.
Mi è capitato di leggere la pubblicità di “nuovi” mezzi filtranti di varia natura. Non avendo avuto esperienze dirette, mi astengo dal dare giudizi. Rilevo, tuttavia, in questa pubblicità (e relative presentazioni tecniche), da un lato, la sostanziale assenza di prove verificabili e comparate, come ad esempio di letteratura scientifica “peer reviewed”, e, d’altro lato, il ricorso a ”claims” piuttosto fantasiosi e privi di dimostrazioni scientifiche, peraltro facilmente attuabili, come possono essere le misure elettroforetiche comparate di potenziali “zeta”. In altre parole molti ”bla bla” con paroloni pseudo scientifici, niente di particolarmente malvagio se non sono utilizzati in modo scorretto.
Credo comunque che la “povera” sabbia continui ad essere il prodotto più conveniente tra quelli a media densità.
La Gestione del circuito idraulico
Anche in questo caso, non conviene entrare nel dettaglio dei prodotti disinfettanti la cui scelta “tecnica” molto dipende dalle condizioni locali e di fatto (dimensioni della vasca e numero di frequentatori, tipologia di frequentatori, all’aperto o al chiuso, capacità ed esperienza del gestore, etc…).
Alcune considerazioni specifiche possono riguardare la gestione dei filtri. Come detto, bisogna evitare che si raggiungano elevate perdite di carico che, se anomale, vanno investigate.
Ad esempio, il mantenimento di corretti valori di alcalinità, durezza e pH dovrebbe garantire l’assenza di precipitati calcarei.
Inoltre, a mente del fatto che i filtri trattengono “volumi” e non “pesi” di sostanze solide, l’eventuale dosaggio di coagulanti non deve essere eccessivo (ad esempio 1ppm di Al in peso forma un flocculo di oltre 120ppm in volume).
Infine, come detto, al termine di ogni lavaggio la superficie del filtro dovrebbe apparire in pratica liscia. Se ciò non accade, e non è imputabile a rotture del sistema di distribuzione idraulico, è probabile che la massa filtrante cominci ad avere un progressivo aumento di sporco non espulso. Dopo avere controllato che, appunto, non ci siano problemi idraulici, può essere necessario un intervento di lavaggio con agenti chimici iniettati in controcorrente fino a coprire, nella concentrazione desiderata, tutta la massa filtrante.
In molti casi può essere sufficiente una superclorazione con 30-50 ppm di Cloro libero con un tempo di contatto abbastanza lungo, ad esempio una notte. Dalla misura del Cloro residuo si può valutare la necessità di ripetere l’operazione. In ogni caso, fatto il lavaggio, bisogna ricordare di “spegnere” l’eccesso di Cloro con idonei riducenti (Solfiti).
Gli interventi di gestione straordinaria
Se la superclorazione di cui sopra non avesse dato risultati soddisfacenti, può essere necessario un intervento di assistenza tecnica qualificata, in grado anche di individuare le ragioni dello sporcamento persistente.
Se, ad esempio, si accertassero precipitazioni calcaree, allora sarà necessario eseguire un lavaggio acido (attenzione a che non vi siano più tracce di Cloro derivati!!!) da parte di personale esperto.
Un lavaggio fortemente alcalino, oltre pH10, eventualmente eseguito insieme alla clorazione, è piuttosto efficace per la rimozione di sostanze organiche in genere (naturali o antropiche).
In questo caso può essere utile un successivo risciacquo acido per agevolare il ritorno a valori di pH “normali”.
Vale sempre il principio di neutralizzare gli scarichi prima dell’invio in fogna.
Dagli esempi esposti si può in ogni caso dedurre che all’origine dei problemi ci sono stati errori di gestione da correggere. In genere, queste operazioni di lavaggio portano a risultati soddisfacenti e la sostituzione del minerale filtrante è una possibilità che, nella mia esperienza, non si è mai verificata nella filtrazione di acque di piscine. Diversamente, in potabilizzazione, ho visto filtri con la massa filtrante talmente “cementata” da precipitati calcarei da non potere essere rimossa dal filtro, oppure con una quantità di “mud balls” sparse nella massa filtrante da aumentarne il volume al punto di espellere, ad ogni lavaggio, una porzione dello strato superficiale.
Detto ciò, desidero ancor più sottolineare che non esiste alcuna necessità o ragione preventiva di sostituire il materiale granulare inerte come intervento di manutenzione ordinaria.
Infatti, come detto, non è certo la formazione di un film superficiale , bio o no a richiederlo: anzi, è vero il contrario. Né lo sfregamento tra i granuli può provocare una loro erosione avvertibile in decenni di corretto esercizio: al massimo può rendersi necessario un rabbocco, più che altro dovuto a perdite accidentali durante i lavaggi, oppure all’impiego di materiali molto leggeri e friabili usati come strato superficiale, ad esempio silicati espansi, carboni semi-attivati invece di antracite, ecc….
Autore: Luciano Coccagna, Chimico, ricercatore e consulente sul tema del trattamento acqua. Esperto di tecnologie della filtrazione, con una decennale esperienza nel settore delle piscine.
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