Pubblichiamo un articolo tratto da www.studiocataldi.it che ci ha particolarmente colpito. A voi il giudizio !
Se non sopportate più Belen Rodriguez che calcia di inguardabile puntinaccia un pallone sulle fastidiosissime note di un martellante refrain di un gestore di telefonia mobile, l’unica soluzione è rifugiarsi nel calcio minore. Massì, quello più vero, quello dei Giovanissimi dodicenni, in cui i valori dello sport trionfano sempre e l’importante non è vincere, ma partecipare. Pierre de Coubertin, pedagogista fondatore dei moderni Giochi Olimpici, sopravvive nei campionati per adolescenti.
Che bello, in programma c’è Lucchese-Fiorentina, un bel derby. Ascendenze carioca per il club rossonero che venne fondato nel 1905 da due fratelli che, di rientro a Lucca dal Brasile, si portarono dietro il primo pallone ufficiale, quello con la cucitura in rilievo che a colpirla di testa fa un male boia da ricovero immediato. Grandissima tradizione calcistica d’alto rango per i Viola, autentica fucina di talenti.
In extremis la gara non si gioca più per volere concorde delle due Società; un ragazzino della Lucchese ha appreso pochi minuti prima del calcio d’inizio che il padre è morto.
Incredibilmente la parola passa al Giudice Sportivo: che sentenzia la sconfitta a tavolino per entrambe le squadre 0-3, il che è pure un assurdo nell’assurdo (come fanno, seppur in modo virtuale e simbolico, due squadre a perdere ambedue la stessa partita senza combine in atto?!), e, se non bastasse, mettiamoci sopra pure un punto di penalizzazione a testa. Tutto ciò anziché, come avrebbe imposto il BUONSENSO prima del regolamento, ripetere la partita dopo qualche giorno, con il lutto al braccio.
Come dire: non Vi azzardate mai più a provare dei SENTIMENTI nel mondo del calcio, dello sport tutto: la com-passione, che è ‘comunanza nel dolore’, dev’esser stata bandita per sempre. Partecipare all’immane lutto di un Vostro compagno che perde il padre all’improvviso, pochi minuti prima della partita, a dodici anni? Mai più! Okay, direte Voi, un errore giudiziario ci può stare; ma quel ch’è la quintessenza dell’assurdo è la conferma del verdetto – l’archetipo del summum jus summa inuria (il diritto, visto in tutto il suo rigore, è somma ingiustizia)! – ad opera della Commissione Disciplinare dei campionati giovanili.
La lezione che si ricava è chiara: lo spettacolo deve continuare. Stiamo parlando di partitelle tra ragazzini, non di Coppa Campioni, a tacer del fatto che Juventus-Liverpool all’Heysel del 29 mag ’85, con quella carneficina sugli spalti, non andava comunque disputata (mai convincenti le spiegazioni del governo belga sui problemi d’ordine pubblico), né assegnato il trofeo. Se segno, ma ho la morte nel cuore, dovrei forse esultare? E se lo sport è gioia e non cinismo, come si conciliano i due concetti? Mi unisco al grande Gianni MURA (caro Gianni, quant’è bello ascoltarTi o chiacchierare con Te, ricordando Beppe Viola ed il senso autentico dello sport) che se n’è occupato nel suo box domenicale ‘Sette giorni di cattivi pensieri’ del 13 feb ’11 che tiene su “Repubblica”. Domando anch’io ai responsabili del gioco che ho sempre amato sin da quand’ero in fasce: se un regolamento è sbagliato, se è crudele, se è cinico e disumano, si può cambiare, no? Si tratta forse delle Tavole della Legge? Ai miei occhi di sportivo, tempo fa praticante, oggi spettatore attento, se la Presidenza Federale non annullerà quella decisione di icastica ingiustizia, sarebbe meglio non parlare mai più di fair play in campo e fuori, di restituzione della palla quando un giocatore s’infortuna, di odiosi cori di ‘buuu’ rivolti ai calciatori di colore, squalifiche per chi impreca in campo, di tessera del tifoso. Se cadono i valori ed i sentimenti, cade lo SPORT. Tanto varrebbe chiuder bottega e portare i libri metaforici della morale sportiva in tribunale.
Il gesto dei dirigenti di Lucchese e Fiorentina, nella piccineria dell’episodio, è stato grandioso (ed è stato punito): quel gesto piccino e sensibile ci insegna i valori veri dello sport. No, Nino, non devi aver paura di sbagliare un calcio di rigore e neppure di non giocare un match per solidarietà; non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore: parole ovviamente di Francesco DE GREGORI ne “La Leva Calcistica della Classe ’68” che fanno venire i brividi a chi ama per davvero lo sport e sono all’incirca le più belle scritte e cantate sul mondo del football giovanile. Le speranze di un bambino, l’alba di un uomo, che sogna di emulare il suo idolo, che impara sin da piccino che, se tutti danno il massimo, poi si vince o comunque, anche se si perde o pareggia, la squadra fa bene, è rispettata. Palestra magnifica per la vita di domani. Valori da travasare pari pari nel quotidiano di adulti. Quando gli ostacoli saranno diversi, ma lo spirito sportivo identico. Fuor di metafora, la squadra è la comunità in cui si opera, è il Paese in cui si vive con dignità ed impegno attivo, è l’Unione Europea, è il mondo ormai globalizzato in cui l’alzata di sopracciglio di Barack Obama si ripercuote sul mio quotidiano. E l’individualismo becero che ci propagandano ora non ha senso senza VALORI SOLIDALI CONDIVISI dalla comunità. Perché “un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo e dalla fantasia”.
Cara Figc, se la parola FAIR PLAY Ti sta a cuore davvero, ricorda che deriva dall’inglese ‘gioco leale’; l’altra faccia della medaglia è ‘non giocare solidale’, proprio come hanno fatto i dirigenti, gli allenatori ed i giovanissimi giocatori di Fiorentina e Lucchese. Bravi e puniti! Quella sentenza ingiusta basata su un regolamento erroneo va posta nel nulla al più presto se vivere sportivamente ha ancora un senso. I giovani non hanno bisogno di sermoni o di sentenze, bensì di buoni esempi, come Giacinto FACCHETTI, Gigi RIVA, Dino ZOFF, Gianni RIVERA, Franco CAUSIO, Claudio SALA, Gaetano SCIREA, Paolino MALDINI, Roby BAGGIO, Javier ZANETTI e molti altri.
Avv. Paolo M. Storani
Civilista e penalista, dedito
in particolare alla materia
della responsabilità civile