Articolo di Rossana Prola già pubblicato su Happy Acquatics & Wellness
Quando si vuole evitare di far capire le cose, uno dei metodi più efficaci è quello di renderle apparentemente troppo complesse, in modo da scoraggiare, da parte dell’interlocutore, l’approfondimento del significato.
E’ un velato invito alla rinuncia, un accenno discreto al fatto che chi ci ascolta, poveretto, non è in grado di capire ed è meglio che lasci perdere e si fidi di noi.
Se ci si immagina la cosa, ci si figura l’imbonitore come un soggetto furbo, certo, anche un pò perverso e leggermente pericoloso, ma, comunque, un pò così, ecco. Cioè, si pensa di poterlo individuare senza grossi problemi, e di essere mediamente in salvo rispetto a simili soggetti, proprio perchè pensiamo di essere in grado di riconoscerli, visto la loro tutto sommato misera natura. Volendo caricaturare il soggetto penserei al Gatto e la Volpe, per capirci.
Invece l’evdenza dice che non è affatto così. Nel nostro settore sento (e leggo, purtroppo) bestialità tali da rendermi conto che il fenomeno è ben più diffuso di quanto si possa pensare. Trovo citazioni e riferimenti a norme con numeri inesistenti, norme esistenti inserite in contesti sbagliati, leggi abrogate da anni, riferimenti che Google non trova nemmeno alla centosessantacinquesima pagina dei risultati. Ma quello che più mi fa male sono le assurdità tecniche i cui nomi non possono essere riferiti senza il rischio che imbonitore ed imbonito ci si riconoscano. Non perchè io speri che se ne vergognino, ci mancherebbe, solo temo che si vendichino.
E queste perle si trovano ovunque: nei cataloghi, nei depliant pubblicitari, nei preventivi, sui siti internet. Se nessuno abboccasse, sarebbe divertente, ma abboccano tutti o quasi, a quanto pare. Come difendersi?
Come in moltissime altre situazioni, le uniche difese sono lo scetticismo assoluto e la conoscenza. Questa legge/questa norma che mi citi, cos’è? Cerchiamo su internet, se salta fuori che si riferisce alla conservazione della pasta essicata, hai perso tanti punti mio caro. Se mi dici che il tuo filtro contiene la polvere di stelle marine triturata nella sera del soltizio d’estate, manco fossi Oldani che mi descrive uno dei suoi piatti, prima di abboccare cerco su internet e se scopro che non esiste allora mi devi dimostrare com’è che ce l’hai solo tu e, soprattutto, com’è che l’hai messa solo nel mio filtro.
Insomma, per prima cosa non credere mai a nulla, a prescindere. Se poi, una volta verificato, la cosa proposta è corretta, allora ci si fida e si procede, si ringrazia e, soprattutto, si paga. In fondo, per questo circolo virtuso il nome c’è da sempre, e non è mai cambiato. Si chiama onestà.