Dalle sue parole traspare quanto sia difficile praticare uno sport in un Paese in via di sviluppo e quanto risultati sportivi importanti possano fungere da volano per dare incentivo alla realizzazione di strutture e programmi sportivi. Pensando alla “nostra fortuna”, abbiamo anche noi bisogno di risultati sportivi eclatanti affinchè ci sia un interesse serio da parte delle istituzioni per la realizzazione ed ammodernamento degli impianti natatori o dobbiamo affidarci alla “speranza” di organizzare qualche grande evento sportivo?

 

Olimpiadi 2004, lei vince un oro che manda lo Zimbabwe in delirio e quando torna c’è lo Stato che l’aspetta. Come l’ha vissuta?

«Ero confusa, agitata ed euforica e non ero assolutamente in grado di capire che succedeva. Prima di allora non mi ero resa conto nemmeno di cosa fossero i Giochi, sono cresciuta ad Harare, ho iniziato a nuotare nella piscina di casa: non avevo idea di che fosse il professionismo. Figuriamoci un oro. Il giorno prima del rientro mia madre mi chiama e mi dice: preparati perché ci sarà tanta gente, stai calma. Ma niente mi poteva preparare».

 

Nel 2008, a Pechino, altro oro (sempre nei 200 dorso) e altro giro di banda e bandiere. Preferirebbe celebrazioni più sobrie?

«Sì, se potessi scegliere, ma lì non c’è solo il governo, c’è la gente, le persone come me, felici di vedere il nome dello Zimbabwe ai Giochi, di sentire l’inno. Abbiamo avuto alti e bassi, un sacco di problemi, anni complicati e sentire che lo Zimbabwe sta sul gradino più alto del podio e non accostato a notizie drammatiche è una bella sensazione. Quindi quei bagni di folla li ho fatti volentieri».

 

Non ha la sensazione di essere usata dalla politica?

«E crede che succeda solo in Zimbabwe? Lo sport è sempre stato sfruttato dalla propaganda, capita a tutte le latitudini quindi come dobbiamo comportarci, smettiamo di vincere per non avere problemi? Manifestiamo su ogni podio per poi fermarci lì? Io so che faccio ogni giorno: mi alleno, mi preparo, nuoto. È il mio mestiere, il mio compito. Guardiamo oltre le foto ufficiali. Prima di me non c’erano strutture in Zimbabwe, ora esiste un comitato olimpico che si muove per promuovere lo sport, hanno costruito piscine, aiutano i ragazzini a iniziare. Ai Giochi del 2008 eravamo 12 atleti e oltre alle mie medaglie sono arrivati altri buoni piazzamenti, prima era il deserto. I miei risultati hanno dato il via a un movimento, a una possibilità».

 

Lei è l’unica faccia bianca portata ad esempio dal suo Paese.

«Dopo gli ori ai Giochi tutto lo Zimbabwe si è commosso, ha festeggiato, si è riunito. Io sono la dimostrazione che bianchi e neri si possono muovere insieme e sarò stata fortunata, ma non ho mai vissuto episodi di razzismo ad Harare».

 

Però ha scelto di vivere all’estero…

«Per lo sport, non avrei potuto allenarmi come si deve a casa. Ma dopo 9 anni a Auburn ora mi preparo a Johannesburg in modo da poter tornare spesso dai miei».

 

Come ha iniziato?

«Stavo sempre in acqua, la piscina è nel giardino. Ci ho passato tutto il tempo fin da bambina. A nove anni ho detto ai miei: voglio andare alle Olimpiadi. Hanno fatto finta di credermi, ma se non avessi vinto una borsa di studio non mi avrebbero mai lasciato andare in America solo per il nuoto».

 

I nuotatori smettono presto, lei ha 27 anni e punta al 2012.

«Ancora merito dello Zimbabwe, lì cresci senza aspettative, è un mondo che ti educa alla semplicità e tutto ciò che viene è talmente fantastico che per quanta fatica costi non voglio mollare. Non mi pesa. Davanti a certe gare ancora mi stupisco».”

 

leggi l’intervista integrale, a cura di G. Zonca, alla pagina http://www.lastampa.it/sport/cmsSezioni/nuoto/201011articoli/30703girata.asp