Con l’entrata in vigore del nuovo codice degli appalti, il D.lgs. n° 50 del 18 aprile 2016, la materia dello sport trova nuova collocazione.

Mentre infatti il previgente codice degli appalti, il D.lgs. n° 163/2006, all’art. 20  prevedeva l’esclusione dalle procedure di aggiudicazione ivi disciplinate di una serie di servizi, tra i quali appunto i “servizi ricreativi, culturali e sportivi” (in particolare, “servizi sportivi”, “servizi di gestione di impianti sportivi”, “servizi connessi allo sport”, “servizi di promozione di manifestazioni sportive” e “servizi di organizzazione di manifestazioni sportive”), il Codice 2016 non contiene alcuna disposizione espressa di esclusione.

Il primo dato di rilievo è quindi l’inclusione dei servizi sportivi nel codice suddetto, con conseguente applicazione ad essi delle procedure previste per appalti e concessioni.

Ciò comporta una conseguenza di non poco conto. Essendo lo sport materia di competenza concorrente tra le Regioni e lo Stato (ex art. 117 Cost.), sino all’entrata in vigore del nuovo Codice le regioni erano nella sostanza libere di fissare la regolamentazione degli affidamenti relativi ai servizi sportivi in modo diverso rispetto alle procedure che riguardavano le altre materie. Per questa ragione si è potuto inserire nella legge 289/2002, all’art.90, comma 25, l’obbligo dell’affidamento dei servizi sportivi, da parte delle regioni, alle associazioni o società sportive presenti sul territorio.

Il fatto che gli affidamenti della gestione di impianti sportivi non sia più regolamentata dalle leggi regionali derivate dal suddetto art.90 è stato chiarito in modo definitivo da un parere dell’ ANAC (Autorità Nazionale Anti Corruzione) in risposta ad un quesito posto dalla Federazione Italiana Sport del Ghiaccio (FISG) datato 14 dicembre 2016.

In tale parere sono contenute interessanti considerazioni riguardanti l’affidamento della gestione degli impianti sportivi, prima fra tutte la doverosa distinzione tra servizi privi di rilevanza economica e servizi a rilevanza economica. Viene espresso il principio secondo il quale gli impianti sportivi di proprietà pubblica sono beni di proprietà dei comuni destinati ad un pubblico servizio e perciò assoggettati al regime dei beni patrimoniali indisponibili i quali, ex art. 828 c.c. non possono essere sottratti alla loro destinazione. Su tali beni insiste, dunque, un vincolo funzionale, coerente con la loro vocazione naturale ad essere impiegati in favore della collettività, per attività di interesse generale e non vi è dubbio che la conduzione degli impianti sportivi sottenda a tale tipologia di attività (Consiglio di Stato n. 2385/2013). Ciò è utile a comprendere perché, oggi, è sostanzialmente impossibile ottenere mutui dalle banche pensando di ipotecare l’impianto sportivo stesso.

Ma la parte più interessante del documento è quella in cui l’ANAC afferma in modo chiaro ed inequivocabile che:

A seguito dell’entrata in vigore del nuovo Codice, che ha dettato una specifica disciplina per le concessioni di servizi e che ha incluso la “gestione degli impianti sportivi” nell’Allegato IX del Codice, quale appalto di servizi, debba ritenersi superata e non più applicabile la previsione di cui all’art. 90, comma 25 della l. 289/2002, sopra richiamato, dettata in un differente contesto normativo.

Dal mese di aprile 2016, quindi, tutti gli affidamenti di gestione di impianti sportivi non potranno essere riservati a una particolare categoria di concorrenti quali le associazioni/società sportive, ma dovranno essere aperti a qualunque tipologia di concorrenti.

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