Chiunque abbia una seppure minima esperienza in tema di gestione di una piscina sa benissimo quanto il capitolo di spesa relativo all’approvvigionamento idrico stia assumendo una rilevanza sempre maggiore, secondo quanto riportato da tutte le fonti di comunicazioni, ufficiali e non. Anche i proprietari di una piscina privata, nonché i costruttori che devono giustificare un investimento con i corrispondenti costi di gestione devono sempre e comunque rapportarsi con questo problema.
Secondo uno studio dell’Autorità per le telecomunicazioni, dal 1995 ad oggi il prezzo dell’acqua potabile è raddoppiato. Dando un valore 100 al prezzo delle varie voci nel 1995, quello dell’acqua potabile è schizzato a 202 ed è di fatto più che raddoppiato: a parziale consolazione, va detto che la voce pesa solo per lo 0,65 per cento sul paniere dell’inflazione.
Nell’ultimo anno il costo dell’acqua ha registrato un incremento medio del 5,4% rispetto al 2007, con aumenti a due cifre in 15 città: si parte dalla Campania (+34.3% a Salerno) per arrivare in Emilia Romagna (+21.4% a Parma) passando per Basilicata (+16.1% a Potenza e Matera), Veneto (+16.3% a Padova), Lombardia (+15.9 a Lodi, +13.4% a Cremona), Piemonte (+14.5% a Verbania), Marche (+14.4% a Urbino) e Friuli (+12.1% Gorizia). L’indagine arriva da Cittadinanzattiva, che sottolinea anche come secondo i dati Istat, da Gennaio 2000 a luglio 2009 l’aumento sia stato del 47%. Secondo Cittadinanzattiva, al Nord si investe di più nel settore idrico e le tariffe sono mediamente più basse, così come la dispersione. Al Sud invece non si investe, la rete è un colabrodo e anche se la potabilità è migliore del nord le continue interruzioni del servizio in molti casi non favoriscono il consumo di acqua del rubinetto. (Da Metro del 16 ottobre 2009).
Considerando che il consumo di acqua giornaliero per una piscina è pari (per esigenze normative) almeno al 5% del volume della vasca, cifra alla quale si aggiunge il consumo delle docce e il riempimento annuale, è facile verificare come a fine anno il costo per questa voce raggiunga facilmente le quattro cifre, se non di più.
La situazione oggi
Ad oggi la proprietà delle reti idriche è totalmente pubblica. Anche se il referendum dovesse passare, la proprietà delle reti idriche resterà pubblica.
Quello che cambia è la gestione.
Attualmente tutti i servizi pubblici come l’acqua e l’energia, le telecomunicazioni, i trasporti, gli audiovisivi e i servizi postali, l’istruzione, la gestione dei rifiuti, i servizi sociali e sanitari sono gestiti direttamente dal Comune oppure da società a proprietà interamente pubblica (semplificando, le cosiddette municipalizzate) oppure da società a capitale misto pubblico-privato. Secondo Il Sole 24 Ore, nel caso della gestione idrica il 35% del mercato è gestito dalle società in house, controllate al 100% dagli enti locali e affidatarie del servizio senza gara. Il 17% è gestito da società miste a controllo pubblico, mentre un altro 19% è in mano a società quotate, anch’esse quasi tutte sotto il controllo pubblico. Il 20%, poi, non è stato mai affidato e viene gestito in economia dai Comuni. Ai privati resta il 5% sotto la forma della concessione a terzi.
Cosa potrebbe cambiare
L’articolo 23 bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto legge 25 giugno 2008 n.112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria” successivamente modificato da altri provvedimenti, recita:
2. Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria:
(comma così sostituito dall’articolo 15, comma 1, lettera b), legge n. 166 del 2009)
a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità;
b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento.
3. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta “in house” e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano.
(comma così sostituito dall’articolo 15, comma 1, lettera b), legge n. 166 del 2009)
4. Nei casi di cui al comma 3, l’ente affidante deve dare adeguata pubblicità alla scelta, motivandola in base ad un’analisi del mercato e contestualmente trasmettere una relazione contenente gli esiti della predetta verifica all’Autorità garante della concorrenza e del mercato per l’espressione di un parere preventivo, da rendere entro sessanta giorni dalla ricezione della predetta relazione. Decorso il termine, il parere, se non reso, si intende espresso in senso favorevole.
(comma così sostituito dall’articolo 15, comma 1, lettera b), legge n. 166 del 2009)
Quindi, in futuro, i servizi pubblici locali dovranno obbligatoriamente essere affidati in gestione a imprenditori privati o a società a capitale misto nelle quali il privato detenga almeno il 40 per cento di partecipazione. Solo in casi particolari, sufficientemente motivati e sottoposti alla approvazione dell’Autorità garante della concorrenza, sarà possibile gestire i servizi in house.
Si badi bene, non si tratta solo di acqua ma di TUTTI i servizi pubblici. A rilevanza economica, si intende, perché quelli che non rendono nulla possono tranquillamente restare pubblici…
Si tratta dell’avvio di una vera e propria privatizzazione, i cui effetti sono difficilmente prevedibili. Se in molti casi, infatti, le società a partecipazione pubblica sono state e sono tuttora utilizzate dalla politica come stipendificio per personaggi che dovevano essere a vario titolo ringraziati/risarciti per favori elargiti, producendo di conseguenza una totale inefficienza nella gestione dei servizi, in altri queste società hanno dimostrato di saper gestire il servizio correttamente.
Il quesito referendario pone un problema di principio: è giusto liberalizzare tutto, sempre e comunque, riconducendo ogni servizio seppure essenziale per la sopravvivenza alle regole di mercato? Oggi si tratta di acqua, trasporti, farmacie, domani potrebbe trattarsi di scuole e/o sanità.
Se e quando un servizio gestito dal pubblico non funziona o funziona male, l’azione corretta è quella di fare in modo che funzioni meglio o è indispensabile disfarsene e cambiare strada? Ed è possibile affermare con certezza che il privato, proprio perché soggetto quasi esclusivamente alle regole del mercato e del profitto, gestirà meglio servizi che vanno erogati sempre e comunque, in qualunque situazione e a tutti i cittadini indistintamente ? La questione è aperta e non di facile soluzione. Quel che è certo è che i cittadini hanno sempre il diritto di farsi una propria opinione e di esprimerla. Si chiama democrazia e su questo, ormai, non si discute più.